I dati MISE dell’ultimo trimestre sulle startup fotografano uno scenario in gran parte già noto agli operatori del settore. La maggior parte delle startup registrano una perdita operativa, in media di 7.678 euro; non crescono in fatturato, anzi si registra una variazione negativa del 5% rispetto al precedente trimestre, con un valore di produzione medio pari a 144mila euro, ma in realtà il valore mediano non supera i 30mila euro (ovvero, sulle 4.049 startup delle quasi 6.745 presenti in registro che hanno depositato il bilancio al 2015, la metà ha ricavi minori a 30mila euro). Non crescono nemmeno in termini di impiego: in media, le startup occupano 3 dipendenti, ma la mediana è di due dipendenti. Vi è da dire che questi numeri riflettono solo il dato relativo al personale impiegato direttamente dalla startup, e non tengono conto anche di collaboratori di cui la startup si avvale sotto altre forme di contrattazione lavorativa; l’impatto complessivo sul lavoro è quindi certamente più significativo di quanto i dati possano rappresentare. In generale, però, i dati sono preoccupanti. Non tanto quello sulla perdita – è un dato abbastanza fisiologico per una startup, il cui principale obiettivo nei primi ani di sviluppo non è tanto il margine operativo, ma la crescita in termini di fatturato (e penetrazione del mercato), accompagnata dalla costruzione di un modello di business scalabile e sostenibile nel medio termine. Quando ciò accade, la crescita di fatturato si accompagna alla crescita organica interna e quindi, all’impiego crescente di personale qualificato.
Proprio questo trend è assente nei dati; ed è il dato più preoccupante. Come mai? I dati non offrono un’analisi di distribuzione e correlazione che cerchi di offrire delle interpretazioni. Difficile individuare con certezza le cause. Mi limito qui ad alcune considerazioni sulla base delle recenti analisi che abbiamo condotto sul campione di startup innovative nell’ultimo anno, volte a comprendere l’impatto di alcuni fattori sulla crescita e performance delle startup.
1) La maggior parte delle startup, pur rispondendo ai requisiti di “innovatività”, di fatto non sono startup innovative, ma piuttosto micro aziende di consulenza. In tal senso, consta rilevare che il 70% delle startup si focalizza sulla fornitura di servizi alle imprese quali produzione software o attività di R&D.
2) Le aziende che crescono di più e che raccolgono capitali di rischio da investitori specializzati quali VC sono un residuo numero (poco meno di 600), molte delle quali operanti in settori “tradizionali” manifatturieri. Infatti, queste startup hanno tra i soci di maggioranza aziende industriali.
3) Il team è tra i fattori di successo quello che più spiega la performance positiva di una startup; in particolare, la composizione eterogenea di imprenditori con competenze tecniche ed economiche (e tra le ultime, manageriali e finanziarie), e con esperienza in altre startup. A riprova di questo risultato, in un’altra analisi abbiamo confrontato un campione di startup top performer (quelle con fatturato superiore ai 2 milioni di euro) con la media del campione di startup nel registro, arrivando a risultati simili: il team marca le differenze più significative tra i due campioni – le startup più performanti hanno team più completi in termini di competenze, hanno maggiore esperienza nel settore di riferimento, hanno esperienza manageriale, e soprattutto hanno una maggiore esperienza in precedenti startup.
Insomma, il capitale umano sembra confermarsi anche nel contesto nostrano come il vero fattore critico di successo. Purtroppo, è anche quello più scarso nel nostro panorama imprenditoriale. Questo è confermato anche dai dati dell’Osservatorio Europeo sui Cluster che evidenzia la cultura imprenditoriale e le competenze (imprenditoriali) come principali punti di debolezza dell’ecosistema della regione Lombardia rispetto a quello di altre regioni europee (in particolare, le aree riguardanti Berlino, Barcellona, Londra e Vienna). Inoltre, lo scollegamento delle attività delle startup con il tessuto economico del Paese e le imprese operanti nei settori tradizionali del capitalismo italiano sembra essere un ulteriore fattore, che accentua il problema del capitale umano.
Dal confronto, collaborazione ed internazionalizzazione (infrastrutture generali e cross-settoriali, specializzazione, e apertura della regione) sono le altre dimensioni dove la regione Lombardia registra delle criticità, oltre ad accesso ai capitali (burocrazia/supporti legali, disponibilità di capitali dal settore pubblico), condizioni della domanda (domanda pubblica) e qualità della governance. Se davvero vogliamo sviluppare un ecosistema di innovazione e imprenditorialità competitivo sullo slancio delle startup, dobbiamo cominciare a risolvere queste criticità, partendo dal fattore principale: il capitale umano.