La riforma del terzo settore fa emergere riflessioni inedite e tutte da esplorare sulla possibilità di realizzare iniziative imprenditoriali e socialmente rilevanti, fuori da un perimetro prettamente non profit, attraverso la startup innovative a vocazione sociale. Una panoramica dello scenario, benefici e criticità.
Ai sensi dell’art. 25, comma 4 del Decreto Legge 18 ottobre 2012 n. 179, noto come “Decreto Crescita 2.0”, convertito in Legge 18 dicembre 2012 n. 221, le start-up innovative a vocazione sociale sono definite come “le start-up innovative di cui al comma 2 e 3 che operano in via esclusiva nei settori indicati all’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 24 marzo 2006 n. 155” che notoriamente disciplina l’impresa sociale ex lege.
I settori individuati nel predetto art. 2 comma 1 sono: assistenza sociale; assistenza sanitaria; assistenza socio-sanitaria; educazione, istruzione e formazione; tutela dell’ambiante e dell’ecosistema; valorizzazione del patrimonio culturale; turismo sociale; formazione universitaria e post-universitaria; ricerca ed erogazione di servizi culturali; formazione extra-scolastica, finalizzata alla prevenzione della dispersione scolastica ed al successo scolastico e formativo; servizi strumentali alle imprese sociali.
Startup a vocazione sociale: l’iter di legge
Bisogna far presente che a decorrere dalla data del 20 luglio 2017, l’art. 2, comma 1, d.lgs. 155/2006 è stato abrogato dall’art. 19, comma 1, D. Lgs. 3 luglio 2017, n. 112 (Revisione della disciplina in materia di impresa sociale, a norma dell’articolo 1, comma 2, lettera c) della legge 6 giugno 2016, n. 106), il quale, peraltro, prevede che tutti i riferimenti al predetto provvedimento fossero riferiti al suddetto D.Lgs. n. 112/2017.
Pertanto sono start-up a vocazione sociale – dette SIAVS – le start-up che svolgono le attività oggetto dell’impresa sociale come attualmente disciplinata dal predetto D. Lgs. 3 luglio 2017 n. 112.
La start-up innovativa a vocazione sociale, comunque, deve in ogni caso possedere gli stessi requisiti delle altre start-up innovative ovvero oltre ai requisiti c.d. “societari” anche almeno uno tra i seguenti ulteriori requisiti e precisamente:
- livello delle spese in ricerca e sviluppo superiori o uguali al 15% del maggior valore fra costo e valore totale della produzione;
- impiego come dipendenti o collaboratori di laureati, dottori di ricerca e ricercatori per almeno un terzo della forza lavoro complessiva (oppure dei due terzi di questa costituiti da persone con laurea magistrale);
- l’essere titolare di almeno un brevetto per una invenzione industriale, biotecnologica, ecc. o dei diritti relativi ad un software originario registrato presso la SIAE.
Ora, il richiamare la disciplina dell’“impresa sociale” serve per qualificare la “socialità” dell’attività posta in essere dalla start-up innovativa a vocazione sociale e, quindi, a limitare l’ambito della sua operatività senza che ciò comporti la dovuta applicazione della normativa dell’impresa sociale.
Con nota prot. n. 141336 del 20 maggio 2016 il Ministero dello Sviluppo Economico – Dipartimento per l’impresa e l’internazionalizzazione – Direzione Generale per il mercato, la concorrenza, il consumatore, la vigilanza e la normativa tecnica Divisione VI – Registro delle Imprese, professioni ausiliarie del commercio e artigiane e riconoscimento titoli professionali, ha ribadito come la start up innovativa a vocazione sociale debba rispondere ai criteri e requisiti generali posti dalla disciplina di cui all’art. 25, con due grandi e principali eccezioni: i) l’oggetto sociale – campo d’azione della società, che deve essere – in via esclusiva – uno di quelli indicati all’articolo 2 del D. Lgs. n. 115/2006 (imprese sociali) e ii) la necessità di redigere, oltre quanto richiesto ordinariamente a tutte le start-up innovative dai commi 14 e 15 dell’articolo 25, anche il cosiddetto documento di impatto sociale, da depositarsi annualmente, pena la perdita dei requisiti di SIAVS.
Siavs, i benefici per chi investe
Lo stesso Ministero dello Sviluppo Economico Direzione Generale per il mercato, la concorrenza, il consumatore, la vigilanza e la normativa tecnica Divisione VI – Registro delle Imprese, professioni ausiliarie del commercio e artigiane e riconoscimento titoli professionali, con la Circolare n. 3677/C del 20 gennaio 2015 ha sottolineato come, essendo riconosciuti, ai sensi dell’art. 29, comma 7, del D. L. 179/2012, ai soggetti che investono nelle start-up innovative a vocazione sociale, benefici fiscali più vantaggiosi rispetto a quelli già assegnati alle persone fisiche e giuridiche che investono nelle altre tipologie di startup innovative, il riconoscimento dello status di start-up innovativa a vocazione sociale debba necessariamente avere evidenza pubblica attraverso la sezione speciale del Registro delle imprese di cui all’art. 25, comma 8, coerentemente con il regime di pubblicità di cui al comma 10 dello stesso articolo, e avvenga tramite autocertificazione da presentarsi alla Camera di Commercio competente.
Con tale autocertificazione il legale rappresentante della società dichiara di operare in via esclusiva in uno o più settori elencati all’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 155 e indica tale/i settore/i, nonché dichiara di realizzare, operando in tale/i settori, una finalità d’interesse generale impegnandosi a dare evidenza dell’impatto sociale prodotto.
In particolare, l’impegno citato all’ultimo punto si sostanzia nella redazione di un “Documento di descrizione di impatto sociale” da compilare secondo le indicazioni fornite in un’apposita guida predisposta dal Ministero dello sviluppo economico e resa disponibile sul sito istituzionale del Ministero e sul sito delle Camere di Commercio dedicato alle startup innovative (startup.registroimprese.it).
Documentazione dell’impatto prodotto
Attraverso il Documento, l’impresa ha la possibilità di descrivere e dare conto esternamente dell’impatto sociale prodotto, ricorrendo a indicatori di natura qualitativa e quantitativa. La società è tenuta a redigere e trasmettere in via telematica alla Camera di Commercio competente territorialmente detto documento con cadenza annuale, secondo le modalità indicate nella guida sugli adempimenti societari della start-up innovativa redatta dalle CCIAA con il coordinamento del MiSE.
L’atto costitutivo di una start-up a vocazione sociale, oltre a dover avere i requisiti relativi all’oggetto, inteso come campo d’azione della società, non presenta ulteriori peculiarità e non deve esser adeguato alle regole proprie dell’impresa sociale, la quale è presa come riferimento solo per ciò che concerne le attività da indicare nell’oggetto.
Non sembrano sussistere ostacoli alla possibilità che una start-up a vocazione sociale adotti, anche di fatto, i requisiti prescritti per l’impresa sociale acquisendone la relativa qualifica.
L’art. 1, comma 1, del D. Lgs. 112/2017 recita:”Possono acquisire la qualifica di impresa sociale tutti gli enti privati, inclusi quelli costituiti nelle forme di cui al libro V del codice civile, che, in conformità alle disposizioni del presente decreto, esercitano in via stabile e principale un’attività d’impresa di interesse generale, senza scopo di lucro e per finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, adottando modalità di gestione responsabili e trasparenti e favorendo il più ampio coinvolgimento dei lavoratori, degli utenti e di altri soggetti interessati alle loro attività”.
La qualifica di “impresa sociale” si riferisce non già ad uno status soggettivo di un particolare tipo giuridico, bensì a una qualifica normativa che tutti i tipi di enti giuridici, compresi quelli societari, possono acquisire se presentano i requisiti essenziali contemplati nel decreto agli articoli da 2 a 13.
Siavs, il tema dello “scopo di lucro”
Tuttavia l’articolo l’art. 1 del citato D. Lgs. 3 luglio 2017 n. 112 nel definire l’impresa sociale chiarisce in modo espresso che l’attività di impresa così esercitata in via stabile e principale non deve avere “scopo di lucro”.
La principale caratteristica dell’impresa sociale è, dunque, l’assenza di scopo di lucro, quale definita all’art. 3 del citato decreto. La normativa ovviamente si riferisce al lucro soggettivo e non al lucro oggettivo, in quanto l’attività che viene svolta è pur sempre un’attività di impresa.
La disciplina dell’impresa sociale prevede di conseguenza il divieto di distribuzione, sia diretta che indiretta, di utili e avanzi di gestione ai soci e l’obbligo invece della loro destinazione allo svolgimento dell’attività statutaria o ad incremento del patrimonio. Allo stesso modo, in caso di scioglimento volontario o perdita della qualifica di impresa sociale, l’art. 12 del D. Lgs. 112/2017 prevede l’obbligo della devoluzione del patrimonio ad altri enti del Terzo Settore costituiti e operanti da almeno tre anni, ovvero a fondi per la promozione e lo sviluppo delle imprese.
Al riguardo l’art. 5, comma 1, del D. Lgs. 112/2017 impone, per le imprese sociali, che l’atto costitutivo debba esplicitare l’assenza dello scopo di lucro.
Una start-up a vocazione sociale nell’acquisire e possedere i requisiti di qualifica di impresa sociale, sarà dunque in ogni caso obbligata a rispettare quanto disposto dall’art. 5, comma 1, del predetto D. Lgs. 112/2017 in forza del quale “oltre a quanto specificamente previsto per ciascun tipo di organizzazione, secondo la normativa applicabile a ciascuna di esse, gli atti costitutivi devono esplicitare il carattere sociale dell’impresa in conformità alle norme del presente decreto e in particolare indicare: a) l’oggetto sociale, con particolare riferimento alle disposizioni di cui all’articolo 2, comma 1, 2 e 3 o le condizioni di cui all’articolo 2, commi 4 e 5; b) l’assenza di scopo di lucro, di cui all’articolo 3″.
Agevolazioni contro ridistribuzione utili
La Legge tuttavia non impone che la start-up innovativa a vocazione sociale per acquisire la qualifica di impresa sociale debba adottare una clausola statutaria che espressamente vieti ai soci lo scopo di lucro ovvero la distribuzione, sia diretta che indiretta, degli utili conseguiti o degli avanzi di gestione.
Questa mancata imposizione legislativa di un clausola statutaria di tale natura per le start-up innovative a vocazione sociale, contrariamente a quanto previsto per le imprese sociali (art. 5, comma 1, D. Lgs. n. 112/2017) si spiega, a mio avviso, col fatto che a partire dalla data di costituzione di una start-up innovativa a vocazione sociale e per tutta la durata del suo periodo c.d. start-up – il periodo in cui la società può godere delle agevolazioni riconosciute dalla legge – sussiste per essa il divieto di distribuzione degli utili.
Detto divieto legislativo – in tema di utili – determina automaticamente, a mio avviso, un’equiparazione della start-up innovativa a vocazione sociale ad una impresa sociale sempre che, ovviamente, la stessa start-up svolga una di quelle attività di cui all’art. 2, comma 1, del decreto legislativo 24 marzo 2006 n. 155 e mantenga tutti i requisiti di start-up innovativa fino alla scadenza naturale dei 5 (cinque) anni del periodo c.d. di start-up.
Di contro rimane incontestabile che se la SIAVS che ha acquistato nei termini di cui sopra la qualifica di impresa sociale rinuncia allo status di start-up innovativa con conseguente inizio a distribuire utili, compresi quelli eventualmente maturati nel periodo in cui possedeva le agevolazioni previste dalla legge (cfr. MISE Ministro Sviluppo Economico Parere del 20 maggio 2016 Prot. n. 141349), allora a seguito di detta situazione la stessa start-up innovativa a vocazione sociale perderà automaticamente la qualifica di impresa sociale.
Questo tuttavia non costituisce motivo ostativo a far sì che la SIAVS a vocazione sociale continui a svolgere in via stabile e principale un’attività di impresa di interesse generale per finalità civiche, solidaristiche e di unità sociale, adottando modalità di gestione responsabili e trasparenti e favorendo il più ampio coinvolgimento dei lavoratori, degli utenti e di altri soggetti interessati alla loro attività.