Le startup innovative stanno per compiere dieci anni e compiono un salto nella galassia delle criptovalute.
Con l’obiettivo di fornire servizi di credito e collegare il mondo della finanza tradizionale alla tecnologia blockchain, le startup entrano nell’era di Fintech e blockchain. L’acquisto di criptovalute è la nuova tendenza finanziaria. Ma i problemi da risolvere, per trasformare i servizi finanziari mediante tecnologia e innovazione, sono numerosi.
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Le startup focalizzate sulle criptovalute
Tra le startup innovative spiccano sempre più quelle che hanno come oggetto sociale l’obiettivo di fornire servizi di credito e collegare il mondo della finanza tradizionale alla tecnologia blockchain.
Diverse startup si sono fatte strada nel nuovo settore del FinTech ovvero l’unione tra finanza e tecnologia, trasformando i servizi finanziari grazie alla tecnologia e all’innovazione.
Infatti, la rivoluzione digitale, spinta anche dalla pandemia da Covid-19, sta trasformando il modo di utilizzare prodotti e servizi finanziari. E le startup sono all’avanguardia proprio nell’ambito dell’acquisto delle criptovalute, tanto che alcune hanno fatto di questo servizio il proprio punto di forza.
Per esempio, sono nate startup progettate per:
- le istituzioni, specificatamente: per emettere, monitorare e gestire strumenti finanziari, come dati, prestiti e titoli;
- il trading di varie criptovalute;
- fornire servizi di credito e collegare il mondo della finanza tradizionale alla tecnologia blockchain;
- sviluppare soluzioni di custodia, sicurezza e infrastrutture per criptovalute e applicazioni blockchain eccetera.
Cosa sono le startup innovative
Con startup innovative si intendono le società di capitali, anche costituite nella forma di società cooperative, non quotate, il cui oggetto sociale consiste nello sviluppo, nella produzione e nella commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico e che presentano una serie di requisiti, indicati dettagliatamente dall’articolo 25 del Decreto egge.
Per esempio, non devono essere costituite da più di cinque anni, devono soddisfare determinati requisiti in termini di fatturato e distribuzione degli utili nonché determinate percentuali di spesa in ricerca e sviluppo ed, infine, devono avere dipendenti o collaboratori dotati di specifiche qualifiche professionali.
Le tappe delle startup in Italia
Nell’ordinamento giuridico italiano, le startup innovative sono state introdotte con il Decreto Crescita 2.0 [1] del 2012.
In seguito nel 2015, sulla scia della normativa riferita alle startup innovative, sono state introdotte nel nostro ordinamento anche le Pmi innovative [2], che rappresentano un importante nucleo di imprese che contribuiscono allo sviluppo innovativo del Paese. Queste costituiscono, a mio parere, il secondo stadio evolutivo delle startup innovative mature e pronte alla fase di crescita consolidata.
Differenze fra startup e Pmi innovative
Sebbene le due tipologie di imprese – startup e Pmi innovative – siano molto simili tra di loro, presentano quattro differenze sostanziali:
- la data di costituzione: per le Pmi innovative non vi sono delimitazioni temporali, mentre le startup devono essere costituite da non più di 5 anni;
- l’oggetto sociale: una startup innovativa ha come oggetto sociale esclusivo o prevalente lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico, mentre per le Pmi innovative non vi sono restrizioni su questo;
- l’ordine di dimensione: il valore di produzione annuo delle startup innovative deve essere inferiore ai 5 milioni euro (le Pmi innovative, invece, devono essere imprese di piccola e media dimensione ai sensi della Raccomandazione 2003/361/CE, quindi attività il cui fatturato annuo non superi i 50 milioni di euro o il cui bilancio totale non superi i 43 milioni di euro, e il cui numero di dipendenti risulti inferiore a 250 persone);
- i requisiti di innovatività: startup e Pmi innovative hanno l’obbligo di rispettare alcuni requisiti specifici di innovatività riguardanti brevetti specifici, titolarità del personale e volume degli investimenti in ricerca e sviluppo (per le startup è richiesto il possesso di almeno uno dei tre requisiti prestabiliti, le PMI devono invece presentarne almeno due).
L’ecosistema digitale delle startup di criptovalute
In altri termini, le startup hanno sviluppato un sistema digitale ed economico intorno alle criptovalute che include, oltre alle attività indispensabili al funzionamento delle cripto stesse, anche servizi addizionali che possono consentire:
- lo scambio (acquisto e vendita) online di una valuta virtuale contro le principali valute reali con l’offerta dei relativi tassi di cambio, la fornitura di statistiche e la custodia del portafoglio digitale (e-wallet);
- l’attività di trading online consistente nell’esecuzione di ordini di acquisto o vendita di criptovalute contro la valuta ufficiale, speculando sui differenziali di cambio;
- la custodia di portafogli digitali e di altri servizi di sicurezza, finalizzati alla protezione della valuta virtuale o di chiavi crittografiche e codici di autenticazione delle transazioni.
Dunque, ci troviamo di fronte a startup che si occupano di ampliare non solo questo settore del tutto emergente nel nostro Paese, ma tutte altresì con lo scopo principale di semplificare l’accesso al mondo dell’industria finanziaria attraverso hub di prodotti digitali abbracciando le esigenze di diversi utenti: dal principiante all’esperto.
La piattaforma di deposito: quando è irregolare
Quando una startup innovativa è una piattaforma di deposito/custodia e gestione di criptovalute, l’attività in questione deve essere qualificata – ovvero il contratto che impegna la startup alla custodia delle criptovalute essendo queste ultime beni fungibili – come un deposito irregolare [4], obbligando così il depositario ovvero la startup, a restituire/riconsegnare i valori digitali su richiesta e a garantirne la custodia.
Che cosa sono le criptovalute
Oggi l’acquisto di criptovalute sembra essere la nuova tendenza finanziaria. Tutti ne parlano e molti si sono lanciati in questo tipo di investimenti, utilizzando appunto le startup innovative.
Le criptovalute o cryptocurrencies sono una forma di moneta digitale che nasce come alternativa ai metodi di pagamento tradizionali. La più famosa è sicuramente il Bitcoin, ma ne esistono molte altre come Ethereum, NEO o Litecoin.
Le criptovalute sono monete virtuali create, distribuite e scambiate attraverso la rete con una tecnologia ‘peer to peer’ basata su un sistema blockchain. Si tratta di una tecnologia che garantisce che i dati immessi non possano essere contraffatti e che tutte le transazioni siano invariabilmente registrate.
L’originalità della blockchain consiste nell’essere un sistema decentralizzato, anonimo, dove è la tecnologia stessa a tutelare il rispetto delle regole e certificare gli scambi, garantendo che ogni nuova operazione venga annotata nella catena solo dopo essere stata convalidata dai singoli nodi, ovvero dopo aver raggiunto il consenso tra i partecipanti, gli utenti del network. Caratterizzato da un alto livello di sicurezza, basato su tecniche crittografiche, il sistema è molto difficile da violare.
Le criptovalute, in genere, sono “beni” [3] poiché possono essere oggetto di diritti. In effetti, chi ne dispone può utilizzarle come mezzo di scambio, evidentemente per l’acquisto di beni o servizi, se accettate in pagamento, oppure come “nuova forma di investimento”.
In altri termini, nel caso di deposito irregolare, il depositario acquista la proprietà delle cose ricevute ed è tenuto a restituire, anziché le stesse cose affidategli, altrettante cose fungibili della stessa specie e qualità (tantundem). Con la proprietà dei beni si trasferisce in capo al depositario anche il rischio di perimento degli stessi (res perit domino).
Ovviamente tale deposito non consiste in un deposito bancario, perché il gestore / startup non è un istituto bancario.
I portafogli di criptovalute
Poiché per gestire e accumulare qualsiasi criptovaluta serve un portafoglio elettronico / digitale (i wallet funzionano come un conto corrente delle valute tradizionali e permettono, quindi, di inviare e ricevere, moneta in qualsiasi momento), il suo utilizzo da parte di una startup può qualificarsi sempre alla stregua di un “deposito”, sia pure di un bene/valore digitale.
I depositi di criptovalute
L’attività di “deposito” si distingue in due tipologie di deposito:
- gratuito;
- oneroso.
La distinzione è essenziale per quanto concerne l’eventuale responsabilità nell’ipotesi di smarrimento o di sottrazione del bene/valore digitale per colpa imputabile alla startup / piattaforma online.
È innegabile, infatti, che il danno derivante dalla sottrazione di criptovalute è imputabile esclusivamente alla gestore della piattaforma / startup che, essendo custode, è tenuto ad adempiere i propri obblighi con diligenza [5] ed è tenuto a restituire le cose fungibili a richiesta del depositante / cliente [6].
La pronuncia del tribunale di Firenze
Inoltre, nel gennaio 2019, il tribunale di Firenze ha confermato che i prestatoti di servizi di criptovalute che consentono il deposito di valori digitali tramite piattaforme online, esercitano un’attività di deposito (irregolare) [7], per cui sono tenuti a restituire i valori depositati su richiesta del depositante, posto che le valute virtuali sono qualificabili come beni fungibili, restituibili nella medesima specie e quantità.
Questa pronuncia costituisce un precedente in materia. Per la prima volta, infatti, viene equiparata l’attività delle piattaforme di custodia e scambio di criptovalute a un comune rapporto di conto corrente o deposito, grazie al quale si può depositare e gestire (negoziare o convertire in moneta legale) i propri valori digitali.
Criptovalute, la disciplina sui servizi di pagamento (PSD)
Ma l’attività delle startup innovative – che svolgono servizi di deposito e gestione di criptovalute – assume particolare rilievo anche e soprattutto nel caso in cui la startup agevoli “operazioni di pagamento” o di “adempimento contrattuale”.
Bisogna premettere che nel codice civile [8] il termine “denaro” è utilizzato con riferimento alla valuta legale.
Se dunque l’attività di una startup facilita le operazioni di pagamento, dovrebbe applicarsi analogicamente la disciplina sui servizi di pagamento (PSD).
È stato rilevato però che la PSD trova applicazione nei soli pagamenti in moneta legale, soprattutto in considerazione del fatto che il legislatore comunitario usa sempre l’espressione “valuta nazionale” ovvero “valuta” ossia moneta avente corso legale in uno Stato membro dell’Unione europea.
Pertanto se il legislatore sia europeo che italiano utilizza solo ed esclusivamente l’espressione “valuta” (intesa come moneta a corso forzoso) e non “moneta”, quale mero strumento di scambio, allora si può affermare che ad oggi qualunque valuta virtuale non può essere ricondotta alla disciplina in tema di servizi di pagamento, dal momento che non è denaro avente corso legale in un determinato ordinamento giuridico.
Si tratterebbe, infatti, di una moneta accettata solo da soggetti paritari – peer to peer – appartenenti ad alcune comunità virtuali, non soggetta alla vigilanza né alla regolazione di alcuna Autorità centrale.
Criptovalute come intermediario negli scambi
Inoltre, si pone il problema in relazione alla caratteristica delle criptovalute di voler fungere da intermediario negli scambi in modo non dissimile alla valuta legale, di qualificare i contratti che abbiano come oggetto un’obbligazione di fare, non fare e dare in cambio di un corrispettivo in criptovalute.
Ne consegue che alla luce della natura delle criptovalute, ogni qual volta si acquista un bene con le cripto, il contratto che si concluderà consisterà in una permuta e non in una vendita, mancandone il prezzo ovvero l’elemento essenziale della vendita.
Mentre non consiste in una permuta, ma in una vendita, la diversa operazione di acquisto di criptovalute con denaro [9].
Le parti sono libere di concordare che l’adempimento vada compiuto con determinati beni rispetto ai quali possono attribuire la natura di mezzi di scambio.
Diversamente, l’operazione contrattuale con cui si cede un bene per ottenere criptovalute realizza una permuta (e non una vendita), consistente nel reciproco trasferimento della proprietà di beni, diversi dal denaro, da un contraente all’altro [10].
In questi termini, se si scambiano beni digitali per altri beni (siano materiali o meno) l’operazione economica che si realizza è quella della permuta. Tale contratto, infatti, avendo ad oggetto il trasferimento reciproco della proprietà delle cose o di altri diritti [11], non richiede la presenza del prezzo, quest’ultimo elemento necessario della vendita.
La disciplina della somministrazione e della permuta
Ulteriore problema si pone poi per i diversi contratti che comportano lo scambio periodico o continuativo di criptovalute con altri beni o servizi.
Si tratta di un problema che può essere risolto con l’affermare che allo scambio periodico di criptovalute e altri beni si applicherà [12] la disciplina della somministrazione e, per lo scambio di beni, la disciplina della permuta.
È agevole notare che il corrispettivo diverso dal denaro non pone un problema di causa contrattuale, in tali contratti sussiste uno scambio. Il problema piuttosto riguarda l’oggetto della prestazione.
Se dal punto di vista giuridico, il corrispettivo dell’adempimento può consistere nella dazione di criptovalute, da un punto di vista pratico, invece, è difficile, soprattutto per i contratti di durata o a esecuzione differita, stabilire la quantità di criptovalute da corrispondere.
La volatilità delle criptovalute e gli stablecoin
Le criptovalute sono caratterizzate da una estrema volatilità, per cui un corrispettivo periodico determinato dalla sola quantità numerica per esempio di Bitcon, più che caratterizzare l’oggetto comporterebbe un mutamento della stessa causa dei contratti esaminati, i quali non potranno più considerarsi commutativi, ma contratti aleatori.
Infatti, la sola specificazione numerica, per esempio, dei Bitcon comporterebbe un mutamento della natura contrattuale da contratto commutativo a contratto di sorte in cui i vantaggi per entrambi i contraenti dipenderebbero da avvenimenti futuri e incerti.
Conclusioni
Il problema della volatilità delle criptovalute potrebbe essere risolto con lo sviluppo di strumenti (stablecoin) che permettono di stabilizzare il valore delle criptovalute in relazione ai beni di riferimento consistenti o in una valuta (per esempio dollaro, euro), l’oro o altri indici.
Questi strumenti sarebbero in grado di preservare la natura commutativa di tali contratti ed operano allo stesso modo delle clausole di rivalutazione (dette anche di “indicizzazione”) che, nei rapporti contrattuali, tendono a garantire le parti dai rischi legati all’eccessivo mutamento di potere d’acquisto del denaro.
Note
- Decreto Legge 18 ottobre 2012 n. 179, convertito in Legge 18 dicembre 2012 n. 221. ↑
- Con l’art. 4 del Decreto Legge n. 3 del 24 Gennaio 2015. ↑
- Cfr. art. 810 c.c. ↑
- Ai sensi dell’art. 1782 c.c.↑
- Cfr. art. 1768 c.c. ↑
- Cfr. art. 1771 c.c. ↑
- Ai sensi dell’art. 1782 c.c. ↑
- Alla luce degli artt. 1277 e segg. c.c. ↑
- Cfr. art. 1470 c.c. ↑
- Cfr. art. 1552 c.c. ↑
- Cfr. art. 1552 cc. ↑
- In forza dell’art. 1570 c.c. ↑