Venture capital in crisi

Startup, la bolla sta per scoppiare? Urgente ripensare i modelli di business

Sta franando il Venture Capital USA? O forse dovremmo ripensare nuovi modelli di investimento e di crescita? Una lettera di YC alle startup in portafoglio lancia l’allarme: con l’attuale contesto geopolitico e macroeconomico e senza una revisione dei business model, il castello è destinato a crollare

Pubblicato il 26 Mag 2022

Pierluigi Casolari

founder di Unconventional Road, autore di Startup 3.0, blog su startup, innovazione e web 3.0

È in corso una pesante battuta d’arresto nel mondo del Venture Capital. E le conseguenze sono allarmanti. Secondo quanto riportato da Erin Griffith sul New York Times il rallentamento è in corso su tutti i fronti. Le valutazioni delle startup sono in calo. Le IPO sono ferme. I VC stanno rivedendo i loro piani di investimento.

Unicorni startup: davvero sono il futuro? Tutti i dubbi sull’attuale modello di crescita

E a cascata tutto questo si ripercuote sulla celeberrima capacità delle startup di attrarre talenti. La maggior parte dei dipendenti strategici vengono ripagati con stock option. Che nella frizzante Silicon Valley hanno sempre rappresentato denaro liquido con valutazioni stratosferiche. Inutile ricordare i casi dei dipendenti di Google diventati miliardari.

Oggi le stock option delle startup stanno diventando illiquide, ovvero non direttamente trasformabili in valore reale. Si stanno dunque creando mercati secondari per la compravendita di stock option.

Aziende come EquityZen rimettono in circolo le stock option dei dipendenti di unicorni e scaleup, che non riescono a quotarsi. I mercati secondari danno una boccata d’ossigeno al sistema. Ma sono il sintomo di un problema.

Sta esplodendo la bolla del mondo startup?

La domanda è lecita, soprattutto dopo la lettera che Y Combinator – il reattore imprenditoriale da cui sono venute fuori alcuni dei principali unicorni della Silicon Valley (Airbnb, Stripe, Instacart, Dropbox, Reddit) – ha inviato alle startup in portafoglio.

YC si rivolge accorato alle proprie startup, alle quali chiede di “tagliare i costi”, “velocizzare la chiusura degli aumenti di capitali”, “accettare” valutazioni più basse. E di considerare tempistiche molto più lunghe per la raccolta di capitale invece dei canonici 3-6 mesi, anche 12-24 mesi. Il titolo dell’email non lasciava adito a dubbi: “Crisi Economica

Le conseguenze dell’alert di YC

Dunque, è di questo che si parla. Di una grande crisi economica che inizia a dare segnali palpabili in Usa e che in questo momento sembra impattare la componente più speculativa dell’economia americana. L’economia del sogno, del futuro e della tecnologia. Che con un termine tecnico, chiamiamo “ecosistema startup”. YC non ci va leggero e invita le startup a prendere atto che il terremoto economico avrà effetti devastanti e anche le più promettenti potrebbero non superare la burrasca.

I VC italiani hanno tradotto con poche modifiche le parole di YC ripetendo il nuovo mantra del rallentamento: accettare valutazioni basse, tagliare i costi, non bruciare cassa, aspettare tempi migliori. Qui in Italia, però, come non c’è un vero hype così non c’è una vera crisi. Ma la questione è un’altra. YC che invita alla prudenza è simile al taglialegna che taglia il ramo dov’è seduto: sta bucando la bolla con l’ago.

Il contesto geopolitico è poco rassicurante

Il mercato delle startup, al netto del sogno e della tecnologia, è fortemente speculativo e tirando il freno a mano si rischia di far crollare il sistema intero. Griffith sul New York Times fa un passo in più e offre un contesto macro economico che non promette nulla di buono. Il problema non è localizzato al mondo del Venture Capital. I fondi che questi sono riusciti a recuperare dai Limited Partner nel 2022 (banche, fondi di investimento ancora più grandi, denaro pubblico) sono in picchiata rispetto all’anno precedente.

La cornice di riferimento è chiaramente l’assoluta grande incertezza geopolitica internazionale. Il conflitto in Ucraina sta per ridefinire i confini politici del pianeta.

La globalizzazione come l’abbiamo conosciuta nel mondo startup, ovvero la crescita su scala mondiale degli Unicorni (Da Uber a Facebook, da Stripe a AirBnB) potrebbe non essere più un’opzione sul tavolo.

La guerra in Europa sta ridefinendo la geopolitica mondiale. I mercati potrebbero non essere più illimitati. Lo spazio di crescita per le startup della Silicon Valley si ridurrà verosimilmente al blocco occidentale USA e UE. Con la consapevolezza, che forse qualcuno inizia ad avere, che il mercato USA e quello europeo sono tanto partner quanto competitor. I modelli di crescita delle startup su cui finora si è puntato solo quelli ad altissima crescita (servizio gratis) e a bassissima redditività per singola unità (advertising e marketplace). Sono modelli pensati per colonizzare il mondo e generare profitti clamorosi, ma solo nel punto culminante delle economie di scale: con miliardi di utenti e di interazioni.

Big tech, i giganti coi piedi di argilla

Facebook, Twitter, Instagram, Uber, Deliveroo e Amazon, per citarne solo alcuni, sono aziende gigantesche e monopoli, ma hanno i piedi di argilla. Alcune di queste aziende, nonostante centinaia di milioni di utenti, non sono ancora profittevoli. Dopo 2 anni di pandemia, che tra l’altro non sembra conclusa, visti i continui annunci di nuove varianti del virus Covid-19, e con una guerra in Ucraina che di fatto è una guerra tra blocco Occidentale e blocco sovietico (che però ha partnership solide con Cina e India), il mercato startup per come è strutturato rischia di crollare. E non solo perché è basato sulla propensione al rischio degli investitori, che crolla quando la crisi domina la politica e schiaccia l’orizzonte del futuro.

Il problema è il modello di business sia delle startup che dei VC. Le startup sono progettate come macchine per la globalizzazione e riescono a generare profitto solo su scala mondiale. Questo paradigma dovrà essere prima o poi messo in discussione. I modelli di ricavi a bassa redditività per unità potranno avere senso in un mondo più piccolo e determinato?

Ma anche il modello di business dei Venture Capital deve essere rivisto. Sin dalla sua nascita il modello dei VC si è basato sulla legge di potenza o di Pareto. Il presupposto di riferimento è che la maggior parte delle startup fallirà, mentre una piccola parte genererà straordinari ritorni di investimento. Questo ha spinto i VC a scegliere startup con altissimo potenziale di crescita e dunque ancora più alti tassi di rischio. Startup con spirito globale e ad altissima crescita per definizione. Ora questo modello potrebbe entrare fortemente in discussione.

L’invito dei VC rivolti alle startup deve dunque essere rigirati ai VC stessi: ripensate il vostro modello, rallentate, riprendete in considerazione differenti tipi di startup.

https://techcrunch.com/2022/05/19/yc-advises-founders-to-plan-for-the-worst/?guccounter=1&guce_referrer=aHR0cHM6Ly93d3cuZ29vZ2xlLmNvbS8&guce_referrer_sig=AQAAALpMvJbKRKEvNEeHidQQjvJiRY9cNV4V0KDRtk6bWClr3qFFDeUUscFM_UgmIJr8xu4haUNAJGJSVbJVi0ClGjxguPem1e_yfkG_Z1upAWl8zi3Yb_ev5LrOva76DHlN7wTsOQu9P-cRMmjLmngJ7ANJ96FNoy8KWliO7Zim02kX

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