Giunto alla prova dei fatti, con il maxiemendamento alla manovra di bilancio, il Governo ha rispettato le promesse sull’Industria dell’Innovazione – che è il modo con cui il sottoscritto si riferisce all’ecosistema delle Startup, degli operatori intermedi e degli investitori.
Ci sono le misure pensate per creare un alto numero di nuove imprese tecnologiche e di voler proiettare non solo la società ma anche l’economia verso nuovi assetti abilitati dalla tecnologia. C’è il sistema (“fondo dei fondi”) per attirare un miliardo di euro sulle startup, un più forte incentivo fiscale agli investitori e ci sono altre misure utili.
Il vicepremier e ministro del Mise Luigi di Maio ha dato chiare indicazioni politiche.E la struttura, anzi le strutture, perché le misure interessate sono frutto di MiSE, MEF e Presidenza del Consiglio, hanno lavorato rispettando la volontà politica. Quella stessa volontà politica era stata spesso lamentata come mancante negli anni scorsi, e difatti le azioni legislative erano tutte orientate alla conservazione.
Nell’anno che già per spinta autonoma di mercato ha visto raddoppiare gli investimenti nel paese fino a circa settecento milioni di euro, a testimonianza del radicamento delle metodologie lean e dell’energia imprenditoriale del paese nonostante tutti i problemi e limiti culturali e legislativi vigenti, dunque, incassiamo una serie di misure che non vanno a chiudere del tutto il cerchio ma danno comunque una spinta indubbia.
Tutte le novità startup e venture in Legge di Bilancio 2019
Vediamoli:
- L’incentivo fiscale per gli investitori passa al 40%, questa misura è particolarmente efficace nell’alimentare l’Angel Investing, il Crowdfunding, e gli investimenti negli Hub: moltissimi privati la sfruttavano nelle proporzioni precedenti, saranno sempre di più. Non è però sufficiente a motivare le Casse, i fondi pensione, le assicurazioni, perché non si applica al di sopra di un limite che per questi soggetti è basso.
- Nasce ufficialmente l’asset class “Venture Capital”, sembra impossibile che non ci fosse ma fino ad oggi esisteva come sottocategoria del Private Equity. Con cui condivide infatti erroneamente il perimetro e le regole di vigilanza, ma questo è un problema ancora da affrontate. Ciò che è rilevante oggi è che, in ottica di asset allocation, i gestori delle grandi masse economiche che normalmente “spalmano” queste somme tra le varie categorie, dal prossimo anno avranno anche la casella del VC da coprire. E’ un cambio di scenario da non sottovalutare, già questo potrebbe farci cambiare partita, ma non è ancora un incentivo all’azione.
- Invitalia Ventures passa sotto il controllo di CDP, riceverà il centinaio di milioni che questa manovra assegna al MiSE come fondi di Stato per il settore, il MiSE acquisirà una partecipazione minoritaria della SGR che oltre a fare investimenti diretti costituirà anche il Fondo di Fondi nazionale. Inoltre lo Stato si impegna a veicolare ogni anno il 15% dei dividendi delle partecipate statali in Venture. Quindi tra soldi di Stato, soldi di CDP, soldi in arrivo grazie al punto precedente, supereranno facilmente il miliardo di euro, e soprattutto con ricorsività. Soldi che verranno a loro volta parcellizzati in decine di fondi privati di Venture Capital, affiancandoli ad altra raccolta, quindi avendo un positivo effetto moltiplicatore sul settore.
- I PIR, i Piani Individuali di Risparmio, strumenti di incentivazione che mettono una parte della raccolta in economia reale e che lo scorso anno si sono riversati quasi solo in Borsa, dovranno girare un 5% di questa raccolta in Seed e Venture Capital. Si aggiunge alla liquidità del sistema un importo stimabile in 500 Milioni di Euro.
- Nasce ufficialmente la categoria dei Business Angel, con un registro tenuto da Banca d’Italia. Saranno soggetti che investono in modalità professionale almeno 50mila euro in tre anni in startup italiane. Sarà più semplice identificarli e proporre loro progetti, sarebbe bello se potersi attendere che rispettino un codice di condotta.
- Vengono semplificate le comunicazioni annuali per le startup, che d’ora in poi invece che verso la Camera di Commercio di appartenenza si dovranno fare sul portale del MiSE.
- Le exit, finalmente! E’ dal 2012 che si chiede un credito d’imposta per le grandi aziende esteso all’acquisizione di startup, e fino ad oggi il Governo aveva risposto con quella assoluta inutilità della possibilità di acquistare il debito. Ora arriva un incentivo fiscale del 50% dell’importo dell’acquisizione, cosa che spingerà finalmente ad aggregare e crescere un po’ di nuove aziende italiane che da medie potrebbero diventare grandi e molto grandi, nel frattempo facilitando il ritorno degli investimenti a chi ha finanziato le startup.
Che cosa manca nel quadro delle misure
Tutte queste misure daranno una spinta molto rilevante agli investimenti, ma sono ancora parziali e non sufficienti a fare in modo che il flusso del venture business sia sano, circolare, e si sviluppi attraverso connessioni internazionali. Prima di tutto, c’è bisogno di una ridefinizione di cosa sia una startup, eliminando l’attuale discrezionalità delle Camere di Commercio: oggi abbiamo un registro di 10 mila PMI in cui forse un decimo potrebbero essere delle vere startup scalabili. Manca inoltre una spinta alla moltiplicazione degli operatori di Venture Capital, oggi pochissimi per le ambizioni del paese.
Mancano anche misure che aiutino i ricercatori a farsi imprenditori; mancano misure perché i talenti vengano formati ed attratti anche dall’estero, oltre che formati in modo più adeguato; mancano misure perché si faccia chiarezza tra Acceleratori, Incubatori, Startup Studios, Coworking, Advisors, Mentors; mancano misure perché si capisca, soprattutto nel crowdfunding dove interviene anche la casalinga, che si investe in modo drasticamente differente a seconda se ci si attenda che tornino dei multipli o dei dividendi, e in rapporto alla possibilità di perdere tutto.
Servono misure perché gli investimenti della fase pre-Seed e Seed vengano operati da gestori senza dover rientrare sotto la vigilanza di Banca d’Italia con costi pari a come se si gestissero somme cento volte superiori.
Servono misure per evitare che il denaro si concentri tutto negli stage meno rischiosi, creando dei buchi nel sostegno come succede oggi finché una startup è pre-ricavi; servono misure per evitare i troppi conflitti di interesse, misure perché alcuni contratti divengano tipici, perché il costo del lavoro si riduca, perché provare a fare impresa e fallire – almeno fino al superamento di un limite fissato – abbia una onerosità nulla o quasi; servono norme che facilitino la trasformazione urbana abilitata dai luoghi dell’innovazione.
E poi serve urgentemente un’armonizzazione tra i veicoli societari adottati normalmente all’estero e quelli italiani, che passa per puntare su una riduzione del capitale minimo delle SpA, perché la Srl continua ad essere una tipologia di persona giuridica inadeguata ad investitori esteri a cui dobbiamo invece ridurre le difficoltà ed i costi dell’intervenire in Italia.
Serve infine un centro di strategia, un’entità che sviluppi un programma nazionale per l’Industria dell’Innovazione, che coordini la messa a terra delle energie imprenditoriali e creative nei territori che seguono, in cui si sviluppa un ecosistema, in cui Regioni e Comuni scelgano di adottare strumenti coerenti con la strategia nazionale.
L’obiettivo per il 2019 non deve essere solo quello di superare un miliardo o due miliardi di investimenti: l’obiettivo che è giusto porsi è quello che questo Governo azzeri o quasi i motivi per cui degli imprenditori italiani dovrebbero preferire il costituirsi societariamente in Regno Unito o in Delaware, offrendogli invece una florida filiera del Venture Business di classe internazionale pronta a sostenerli restando in Italia.
In attesa di far rientrare quelli che se ne sono andati, e nonostante tutto quello che c’è ancora da fare, possiamo finalmente essere ottimisti: l’Italia dal 2019 apparirà a pieno titolo e con forza sulla scena globale delle startup.