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Startup Usa in crisi: Italia immune alla “bolla”?



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Negli Stati Uniti, i fallimenti delle startup sono cresciuti del 60% da gennaio, segnalando una possibile bolla del mercato. In Italia, il mercato più piccolo e controllato delle startup sembra meno vulnerabile. Una crescita più equilibrata e sostenibile potrebbe proteggere le startup italiane dai rischi che attualmente colpiscono gli USA

Pubblicato il 3 ott 2024

Paolo Anselmo

Presidente Associazione IBAN



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Qualcuno potrebbe definirla una sorta di selezione naturale del mercato che premia i progetti migliori lasciandosi alle spalle quelli che non convincono completamente. Altri potrebbero invece sostenere che si tratta di un primo forte segnale di una “bolla”, quella delle startup e degli investimenti collegati, pronta ad esplodere da un momento all’altro.

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Probabilmente, come in tante altre situazioni, per arrivare a una verità abbastanza condivisa serve prendere qualche elemento da ciascuna delle teorie che sono state esposte nell’ultimo periodo. Tutto è partito da un articolo dell’autorevole Financial Times intorno alla metà di agosto sul periodo che stanno vivendo le startup degli Stati Uniti.

Negli USA aumentano i fallimenti di startup

Il numero che è subito finito negli occhi di tanti protagonisti del settore, tanto investitori quanto founder, è quello che spiega come da gennaio i fallimenti di società innovative negli Stati Uniti siano cresciuti del 60%. Percentuale importante che induce a pensare non si tratti di alcuni casi isolati, quanto più di una situazione diffusa e che chiede come minimo di soffermarsi per qualche riflessione.

Pensieri che vanno nella direzione americana, ma che poi inevitabilmente ricadono sul mercato italiano che però, come si vedrà tra breve, potrebbe avere alcune difese extra per alcune sue caratteristiche peculiari che spesso identificate come difetti in questo caso si possono trasformare in preziosi deterrenti.

Torniamo ancora per un attimo negli Stati Uniti. Il Financial Times risale a quelle che sono le cause originarie della situazione attuale: i fallimenti di oggi infatti poggiano le loro radici nel passato, in particolare nel lungo periodo di tassi a interesse zero per le startup. Un elemento che permetteva di finanziarsi molto facilmente a basso costo, con anche i fondi di venture capital più propensi a scommettere il loro denaro su progetti innovativi. Oggi però, viene ancora spiegato, gran parte della liquidità raccolta durante il boom tecnologico del biennio 2021-2022 è terminata e molte startup fanno fatica a rifinanziarsi.

Il risultato finale è che chi non ce la fa è spesso costretto a chiudere i battenti. Il senso sembra essere che il mercato, dopo anni in cui ha avuto un’espansione quasi incontrollata per certi versi, stia rientrando in un perimetro più “normale”, iniziando a ragionare maggiormente sui progetti sui quali investire. E qui si arriva al caso italiano e a ciò che l’ultima Survey IBAN ha rilevato per quanto riguarda sia i founder che gli investitori.

Mercato più piccolo, ma più sano: così l’Italia può crescere in modo più equilibrato

Paragonare il mercato americano delle startup con quello italiano è spesso un esercizio che si rivela poco adeguato. Troppo diverse infatti le due realtà per poter pensare di trovare elementi concreti in grado di essere confrontati per sviluppare un dibattito o un tema di analisi. In questa situazione specifica si può però fare un’eccezione in grado di “premiare” quello che è oggi il mercato in Italia delle startup e degli investimenti in realtà innovative.

Perché se è vero che non ci possiamo considerare un mercato particolarmente grande o sviluppato è però altrettanto evidente che queste dimensioni permettono una crescita più controllata, probabilmente più lenta, ma in grado di assorbire maggiormente eventuali scossoni, o comunque di osservare e imparare dagli errori di chi, in questo momento, è più grande per cercare di evitarli in futuro.

Questo non significa volersi accontentare di rimanere una piccola oasi di pace e tranquillità, il monito però a una crescita che sia quanto più sostenibile e gestibile per tutte le componenti del sistema dell’innovazione italiana è quanto mai chiaro e circostanziato, a maggior ragione perché in arrivo da uno dei riferimenti mondiali per quanto riguarda l’innovazione come sono gli Stati Uniti.

A cosa guardano i Business Angel per scegliere dove investire

Il richiamo vale naturalmente sia per i founder di startup che per gli investitori come i Business Angel. Il caso americano insegna che per chi avvia un progetto innovativo è fondamentale avere un business plan e una strategia aziendale che siano i più accurati possibili, mentre per chi investe l’insegnamento è che la selezione dei progetti è un processo che non può evitare di essere il più possibile accurato e scrupoloso. Elementi che come si accennava in precedenza sono emersi anche dall’annuale indagine di IBAN sui Business Angel in Italia.

Nel 2023, infatti, i criteri che in media sono stati evidenziati dai Business Angel come fattori critici di successo nella valutazione delle aziende target sono il potenziale di crescita del mercato di riferimento (che si conferma al primo posto come nel 2022 e nel 2021), il team dei manager e la strategia di uscita. In aggiunta il 60% del campione che ha risposto alle domande dell’indagine di IBAN afferma di applicare criteri di valutazione ESG e/o di impact investing nel valutare le opportunità di investimento. Ciò che evidenziano gli investitori è di riflesso ciò a cui devono fare più attenzione i founder nel pensare, creare e presentare un loro progetto. Perché in un mercato piccolo come quello italiano è probabilmente più difficile emergere, ma è altrettanto vero che chi è in grado di farlo corre meno il rischio di finire in una “bolla” come accaduto negli Stati Uniti. Un rischio da evitare così da ottenere un beneficio per tutti: founder con le loro idee e investitori con i loro soldi e le loro risorse economiche.


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