Nell’ambito del mercato degli investimenti in startup e, in particolare, in startup innovative, il principale volano dei capitali dal settore finanziario all’economia reale è stato, senz’altro – quantomeno nel corso del 2022 – il settore del venture capital. Quest’ultimo, infatti, ha riscontrato una considerevole crescita nei settori a forte vocazione tecnologica e, per così dire, futuristica.
Nell’ambito dei citati settori rientra, principalmente, il settore dell’intelligenza artificiale, ove ai rischi e alle implicazioni tipiche delle operazioni di venture capital si aggiungono tutta una serie di tematiche legate al mondo della proprietà intellettuale, della tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento e alla libera circolazione dei dati personali (privacy), nonché al buon funzionamento dei sistemi di information tecnology e alla relativa compliance.
Non è un caso che, a dimostrazione della crescita di tale settore, le istituzioni dell’Unione Europea hanno (finalmente) raggiunto un accordo sull’Artificial Intelligence Act, la legge europea sull’intelligenza artificiale.
Venture capital e innovazione
Nella definizione proposta dalla “National Venture Capital Association” e dalla ”European Venture Capital Association” – le associazioni di categoria per il venture capital, rispettivamente, americana ed europea – il significato del mercato del venture capital è riassunto nel seguente inciso: “money provided by professionals who invest alongisde management in young rapidly growing companies that have the potential to develop into significant economic contributors”. Detto mercato è, dunque, focalizzato in investimenti in aziende che si trovano nella fase iniziale della propria attività e che presentano significative opportunità di crescita associata allo sviluppo di strumenti legati all’innovazione tecnologica o industriale.
Le opportunità e i rischi delle operazioni di venture capital
L’utilizzo del venture capital si giustifica per l’opportunità offerta da tale forma di investimento di consentire non solo stati di esposizione finanziaria per la start-up, ma anche di fornire un supporto manageriale e strategico alla gestione dell’impresa, senza tuttavia dimenticare che la rappresentanza legale e la responsabilità gestionale devono essere identificate e attribuite in capo alla società e ai suoi managers, non al fondo e/o ai singoli venture capitalist.
Dal lato dell’investitore, dunque, le operazioni di venture capital sono caratterizzate da un rilevante rischio di impresa, legato all’evoluzione del mercato di riferimento, alla corretta (e realistica) determinazione del valore di start-up, inevitabilmente legata alle sue prospettive di crescita e, dunque, all’attualizzazione dei flussi di cassa futuri, nonché all’evoluzione della normativa di riferimento, talvolta foriera di costi e/o di limiti all’operatività della start-up. Tale tipologia di investimenti presenta, inoltre, diversi elementi di incertezza che richiedono un’efficace gestione delle differenti determinanti del rischio presenti nei progetti ad elevato contenuto tecnologico e innovativo.
Dal lato dei founders (i.e. i fondatori della start-up), invece, le operazioni di venture capital rappresentano un essenziale – o, forse, vitale – strumento di fundraising raggiungibile attraverso l’emissione di strumenti di equity (tipicamente, quote di s.r.l. o azioni di s.p.a.) o quasi-equity (a titolo esemplificativo, obbligazioni convertibili in azioni) e l’individuazione dei relativi sottoscrittori.
Nell’ambito della crescita del mercato degli investimenti del venture capital, si pone, pertanto, l’attenzione su un settore in forte crescita, il settore dell’intelligenza artificiale.
La diffusione dell’intelligenza artificiale
Il dibattito sullo sviluppo dell’intelligenza artificiale interessa oramai, vastissimi settori e, nel suo procedere tra improvvise accelerazioni e repentini ripensamenti, suscita sempre nuove, affascinanti questioni.
Anitec-Assinform (i.e. principale associazione di settore delle imprese che operano in Italia nella produzione di software, sistemi e apparecchiature elettroniche e nella fornitura di soluzioni applicative e di reti, di servizi a valore aggiunto e contenuti connessi all’uso dell’ICT e allo sviluppo dell’innovazione digitale) ha evidenziato come in Italia nel 2022 il mercato dell’AI abbia raggiunto un volume di oltre 400 milioni di euro (+21,7%) e ha stimato che si raggiungeranno i 700 milioni entro il 2025.
Ancorché questo settore risulti estremamente in crescita nella pletora dei mercati target per i venture capitalist, lo stesso condensa al suo interno quasi tutte le implicazioni tipiche di operazioni di questo tipo: si tratta di un settore estremamente legato all’evoluzione di altri mercati, privo di realistici dati empirici circa i rendimenti, la crescita e la continuità dei profitti – il che rende estremamente difficile, nell’ambito di un’operazione di investimento, sia la fase di individuazione di un valore della start-up, sia la previsione dei flussi di cassa futuri – e, soprattutto, estremamente interconnesso con l’evoluzione di una normativa estremamente dinamica, correlata, come anticipato, ai settori dell’information tecnology.
Ne consegue che gli investitori, sia nella fase di seed che nelle fasi successive, impongono ai founders tutta una serie di tecniche giuridiche (correlate sia a dinamiche di business, sia a dinamiche legali) volte a contenere o, meglio, porre rimedio, al concretizzarsi di un rischio di impresa potenzialmente incontrollabile.
Quanto sopra, tuttavia, pone inevitabilmente un problema di bilanciamento tra l’interesse e la tutela dell’investitore e la “libertà” di business della vera essenza e del cuore pulsante di queste start-up, rappresentato – in evidente contrasto con il termine “artificial” intelligence – proprio dalla scienza umana dei founders.
I rischi per i founders in un’operazione di Venture Capital
Alla luce di tutto quanto sopra rappresentato, si pone il tema di individuare quali siano i rischi specifici per i founders in una operazione di venture capital e, in quale fase, essi debbano prestare maggiore attenzione.
Durante la negoziazione degli accordi volti a perfezionare l’operazione, gli advisors legali delle controparti sono tenuti ad occuparsi – inter alia – dello studio e dell’analisi delle garanzie contrattuali (cd. representations and warranties, R&W), la cui sottoscrizione incide anche sul prezzo finale. Infatti, il compratore vuole tutelarsi da eventuali controversie, inserendo previsioni che lo riparino in maniera adeguata da (potenziali) problematiche future.
Ebbene, in un settore delicato, quale quello dell’intelligenza artificiale, tutto riveste maggiore complessità. Ad esempio, come può un founder inventore di un determinato software garantire l’assenza dei cd. “bug” nel software medesimo?
Pertanto, occorre prestare massima attenzione ad ogni singola garanzia contrattuale che il venture capitalist sottoporrà ai founders e far sì che i founders inseriscano quante più manleve possibili sul loro operato.
Con riferimento, invece, alla composizione dell’organo amministrativo della start-up target, è opportuno che sia garantita una composizione a maggioranza dei founders e che, pertanto, venga nominato un consiglio di amministrazione collegiale a composizione mista. Ciò consentirà ai founders di avere sempre il controllo strategico e manageriale della società, eccetto per specifici diritti di veto che saranno concessi ai venture capitalist per specifiche materie. A tal proposito, è opportuno che vengano non solo stabilite materie richiedenti il voto favorevole del venture capitalist ai fini di una loro delibera (sia in sede di consiglio di amministrazione che in assemblea) ma che tali materie siano supportate – laddove possibile – da un valore, superato il quale i founders dovranno rivolgersi obbligatoriamente al venture capitalist. Ciò consentirà ai founders di muoversi liberamente nell’ambito dell’esercizio “ordinario” della propria attività imprenditoriale, e ciò fino ad un certo momento che sarà – appunto – negoziato e individuato tra le parti nel corso della negoziazione contrattuale.
I meccanismi economici
Tra i meccanismi economici, anch’essi oggetto di specifica negoziazione tra le parti, si vogliono menzionare in tale sede due tipologie di clausole: (i) la prima, la clausola di covendita; e (ii) la seconda, la clausola di “liquidation preference”, la cui negoziazione è spesso foriera di scontri tra le parti.
Le clausole di covendita
Le clausole di covendita (meglio note con la terminologia di tag along) si collocano all’interno delle limitazioni alla circolazione delle partecipazioni sociali. Si tratta di previsioni statutarie di derivazione anglosassone, che hanno sviluppato, negli ultimi anni, una considerevole diffusione nella prassi societaria italiana, in considerazione dei molteplici risultati perseguibili con le stesse.
In particolare, accade che ai founders venga garantita la tutela del “socio di minoranza”, attraverso clausole che attribuiscono a tali soci il diritto a pretendere che l’altro socio (il venture capitalist), laddove intenda vendere la propria partecipazione, debba procurare ai founders la possibilità di alienare anch’essi le proprie partecipazioni alle medesime condizioni ottenute dal venture capitalist.
Pertanto, la clausola di tag along sopra descritta fa sì che vi sia un obbligo, in capo al venture capitalist, di procurare a favore dei founders un’offerta di acquisto delle quote partecipative da essi detenute.
Qual è il vantaggio? Tutelare l’interesse dei founders al fine di approfittare delle condizioni di realizzo, ragionevolmente migliori, che il venture capitalist è riuscito ad ottenere con il terzo acquirente per la cessione delle proprie partecipazioni sociali. Dall’altro lato, si ottiene il risultato di aver adeguata certezza della sorte delle diverse partecipazioni, indipendentemente dall’entità di queste ultime.
In un mondo quale quello dell’intelligenza artificiale, in cui oggi più che mai, vi è curiosità da parte di vari fondi di venture capital, tutelare i founders – dando ad essi la possibilità di scegliere se restare “dentro o fuori” – è di fondamentale importanza.
La clausola di liquidation preference
La seconda clausola a cui si vuole fare un cenno concerne la “liquidation preference”, una clausola per la quale si prevede che, in caso di cessione della società, all’investitore venga assegnato il diritto di cedere le proprie quote per primo, a un multiplo fissato del valore iniziale, con la conseguenza che fino a quando l’investitore non abbia ricevuto il multiplo definito, gli altri soci (e, pertanto, i founders) avranno quote/azioni sostanzialmente a valore zero. Il contenuto della suddetta clausola è spesso oggetto di discussioni accese tra i founders e i venture capitalist, specialmente nella definizione del multiplo da riconoscere alle parti.
Pertanto, al fine di evitare che – in caso di cessione della società – ai founders (soggetti grazie ai quali sono stati condotti processi inventivi, progressi scientifici, etc.) resti meno di una “nocciolina” o addirittura nulla, occorre negoziare adeguatamente il valore del multiplo, facendo sì che – soprattutto in caso di liquidazione per esito negativo della società – i proventi della liquidazione siano destinati a rimborsare gli investitori “solo” del valore iniziale dell’investimento, senza riconoscimento di ulteriori rendimenti.
Conclusioni
Volendo tirare le somme, sebbene ogni operazione di venture capital meriti un adeguato approfondimento e un’attenta negoziazione, è fuor di dubbio che, in settori quali quello dell’intelligenza artificiale, tutto rivesta maggiori difficoltà. Ed è per tale motivo che gli advidors legali dei founders saranno tenuti a compiere uno sforzo maggiore, per far sì che vengano garantite adeguate tutele ai soggetti detentori di una scienza umana così affascinante e misteriosa.