Il digitale sta trasformando tutto: il modo in cui lavoriamo, ci informiamo, trascorriamo il nostro tempo libero. Che ne sarà, in futuro, di giornali, sportelli bancari, negozi, agenzie di viaggio, partiti?
Per un mondo che tramonta, però, ce n’è uno che sta emergendo con forza. Questa trasformazione in atto ha, inevitabilmente, le sue conseguenze sul mondo del lavoro, ed è aperto il dibattito su quale sia la formazione più adatta sia per i giovani sia per i professionisti: quella scientifica o quella umanistica?
La risposta potrebbe essere scontata, ma non lo è affatto.
La riscoperta della filosofia, i punti deboli della tecnica
Nel dibattito sulla formazione più adatta al mondo contemporaneo si pensa agli studi in ingegneria, ovviamente. O a quelli in informatica, ancora più chiaramente. Ma una figura professionale tradizionale ha senso soprattutto all’interno di un mondo del lavoro relativamente stabile, le cui richieste di specializzazione si inseriscono in un quadro definito.
Questa situazione sta parzialmente cambiando: le nuove figure professionali perdono i loro contorni, sono costrette a forzare i limiti delle proprie definizioni e a sperimentare. Oggi, un atteggiamento aperto e critico nei confronti di un contesto in trasformazione costituisce un elemento imprescindibile per il ripensamento dell’organizzazione del lavoro nell’era del digitale.
In questo contesto, da almeno alcuni decenni, si sta verificando una riscoperta della filosofia. Almeno nel mondo anglosassone. Secondo uno studio[1] di David Deming, dell’Università di Harvard, tra il 1980 e il 2012, negli Stati Uniti, i lavori che richiedono alti livelli di interazione sociale sono cresciuti di quasi 12 punti percentuali.
Nello stesso periodo, i lavori ad alta “intensità matematica” ma meno “sociali”, tra cui molte occupazioni STEM – science, technology, engineering and mathematics – si sono ridotti di 3,3 punti.
Non a caso, ormai da parecchi anni, nel settore delle Risorse umane si trovano molti laureati in filosofia. Un filosofo è specializzato nella conoscenza dell’essere umano e delle relazioni strutturali. Riesce ad affiancare al rigore dell’analisi la capacità di visione d’insieme, offrendo alle aziende letture innovative sugli assetti organizzativi e sul contesto di riferimento. Ma con la rivoluzione digitale questa tendenza sembra rafforzarsi.
Infatti, per cogliere sia i rischi sia le opportunità della trasformazione digitale, è utile superare un’ottica meramente tecnica, che si focalizza su problemi contingenti e specifici, adottando una prospettiva di lungo periodo, critica, globale. Queste sono le caratteristiche tradizionali dell’approccio filosofico.
Inoltre, l’innovazione digitale solleva enormi questioni filosofiche, soprattutto etiche (privacy dei dati, valutazione algoritmica del rischio, responsabilità giuridica) e politico-sociali (impatto sull’occupazione, sulla qualità del discorso pubblico e della democrazia). In questo senso, le innovazioni digitali richiedono certamente programmatori di software, ma anche (e soprattutto?) esperti in grado di comprendere, valorizzare e governare le conseguenze comunicative, organizzative e sociali delle nuove tecnologie.
Filosofi 2.0: i corsi a Oxford e Udine
Per formare persone in grado di rispondere adeguatamente a questa sfida, da alcuni anni è attiva all’università di Oxford il corso di laurea in “Computer Science and Philosophy”[2], della durata di tre anni (Bachelor) o di quattro anni (Master of Arts).
A essere formato è il “filosofo 2.0”, un laureato in grado di unire le hard skill delle STEM, soprattutto matematica e informatica, alle competenze della filosofia: rigore d’analisi, capacità di sintesi, conoscenza dell’essere umano, della sua antropologia, consapevolezza dei problemi della vita individuale e collettiva.
L’informatica riguarda la progettazione, la comprensione e l’utilizzo dei sistemi artificiali, dei computer e dei programmi.
Lo studio della filosofia, invece, sviluppa rigore analitico, critico e logico, applicato all’interno di un’ampia gamma di abilità preziose: analizzare e organizzare informazioni diverse, comprendere vari punti di vista, discutere un problema, immaginare nuove possibilità.
In Italia, invece, è di recente istituzione la laurea triennale in “Filosofia e trasformazione digitale”[3], dell’università di Udine. Dedicata allo studio delle novità scientifiche, culturali e sociali che le tecnologie stanno diffondendo, si propone come una laurea fondamentale di filosofia con una robusta componente informatica, che prevede due anni comuni dedicati all’acquisizione dei fondamenti (teoretici e pratici) e un terzo anno incentrato sulle problematiche del digitale tra comunicazione, didattica e innovazione.
Il corso intende formare figure professionali in grado di individuare i principali trend e capire come si relazioneranno con le dinamiche delle organizzazioni, al fine di dialogare con gli esperti di tecnologie emergenti.
Si tratta di cogliere le trasformazioni che il digitale opera nel campo della formazione e dell’insegnamento (ancora di più dopo l’esperienza della DAD durante il Covid), dell’organizzazione di attività mediali e culturali, del supporto alla direzione aziendale e organizzativa, della comunicazione attraverso Internet e i social, della gestione dell’informazione e di sistemi esperti, delle relazioni pubbliche, dello sviluppo e delle applicazioni dell’intelligenza artificiale.
A partire da un approccio interdisciplinare, la laurea intende analizzare non soltanto quali siano le potenzialità e i rischi insiti nelle tecnologie, ma anche come gli individui e le comunità possano decidere di usarle.
Filosofi 2.0: i master a Trento e Udine
Invece, per dirigenti e funzionari pubblici e privati, o per i neolaureati in cerca di un’ulteriore specializzazione a fini di inserimento lavorativo, fra pochi mesi partirà all’università di Udine la nuova edizione (rinnovata e focalizzata maggiormente sull’intelligenza artificiale) del master di I livello in “Filosofia del digitale. Governare la trasformazione”[4], con una faculty che ospita i più affermati esperti di tecnologie digitali.
Fra le lezioni, troviamo “etica e postumano”, “filosofia della tecnologia”, “teoria politica e media digitali”, “intelligenza e memoria digitale”, “ragionamento automatico”, “blockchain”, “digital strategy e al change management”, “marketing digitale”. Il master si svolge quasi esclusivamente online, la sera oppure i fine settimana, ed è erogato sia con lezioni sia con lavori di gruppo.
Un altro master orientato al futuro è quello in “Previsione sociale”[5] dell’università di Trento. È meno focalizzato sulla tecnologia, ma prevede un corso in “previsione tecnologica” e permette agli studenti di acquisire nuovi strumenti di supporto alle decisioni strategiche.
A dirigere entrambi i master troviamo due filosofi: Luca Taddio, teoreta all’università di Udine, e Roberto Poli, epistemologo, all’università di Trento.
Filosofi 2.0: i precedenti a capo delle aziende
La sfida è quella di “incanalare”, di valorizzare in maniera stabile, lo stretto rapporto fra filosofia e impresa innovativa che, in realtà, non è affatto una novità. Anche nel nostro Paese.
Basti pensare ad Adriano Olivetti, imprenditore-filosofo, con il suo celebre “umanesimo aziendale”. In tempi più recenti, diverse grandi aziende si sono affidate a dottori in filosofia. Lo dimostra il percorso di studi di dirigenti come Luigi Marra, CFO di Fujifilm Healthcare Italia, con un master in Filosofia del King’s College of London, o Claudio Colzani, Ceo di Barilla, laureato all’università di Milano.
Per non parlare di Sergio Marchionne, laureato in Filosofia all’università di Toronto (da lui stesso definita come la scelta più appropriata) e poi in Legge, artefice della “storica” acquisizione di Chrysler da parte di FIAT (annunciata dall’allora Presidente USA Barack Obama).
Nemmeno nei colossi del mercato tecnologico è difficile incontrare filosofi, spesso in ruoli chiave. Stewart Butterfield, laurea in filosofia all’università di Victoria, inizia un dottorato di ricerca su Spinoza e lancia prima Flickr (fra i principali siti di photosharing), poi Slack (app di messaggistica business). Reid Hoffman, appassionato di epistemologia e scienze cognitive, un master of Studies in Filosofia ad Oxford, è stato il co-fondatore e presidente di LinkedIn, secondo Forbes “lo strumento di social networking più vantaggioso disponibile oggi per chi cerca lavoro e per i professionisti”. Recentemente, Google ha creato la posizione di Chief Philosophy Officer (CPO), che si occupa di apportare innovazioni all’interno dell’azienda attraverso le metodologie delle discipline filosofiche.
Conclusioni
Se i manager sono eccellenti nel gestire il presente, i filosofi potrebbero avere una marcia in più nel gestire il futuro. Ma perché siano in grado di valorizzare le loro competenze al meglio, per i “filosofi 2.0” sono necessari percorsi di formazione solidi e al tempo stesso aggiornati.
La trasformazione digitale richiede una nuova generazione di pensatori che comprendano la tecnologia e siano in grado di pensare in modo critico alle sue conseguenze.
Alcune università sembrano aver colto la sfida, cercando di trasformare casi individuali significativi in percorsi di formazione (e crescita professionale) strutturati e riconosciuti.
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Note
- https://scholar.harvard.edu/files/ddeming/files/deming_socialskills_aug16.pdf ↑
- https://www.ox.ac.uk/admissions/undergraduate/courses/course-listing/computer-science-and-philosophy ↑
- https://dium.uniud.it/it/didattica/corsi-di-studio/lauree-triennali/filosofia-e-trasformazione-digitale/ ↑
- https://www.uniud.it/it/didattica/formazione-post-laurea/master/alta-formazione/Area-umanistica-comunicazione-formazione/filosofia-del-digitale#autotoc-item-autotoc-3 ↑
- https://www.unitn.it/master-previsione-sociale ↑