Quali competenze e quali modelli di formazione potrebbero facilitare l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro in un prossimo futuro segnato dall’economia delle reti e dalla digitalizzazione diffusa? Quali i contesti abilitanti e quali politiche pubbliche, aziendali e territoriali potrebbero favorire l’acquisizione di queste competenze e fare dell’innovazione uno strumento capace di favorire l’occupabilità?
Un confronto di idee, volto a dare risposte a queste domande, è stato promosso dall’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche INAPP (ex Isfol) e dagli Stati Generali dell’Innovazione. Il confronto ha chiamato in causa stakeholder, rappresentanti di Regioni, Comuni, mondo della scuola, dell’istruzione, della formazione professionale e del lavoro; esponenti delle politiche attive del lavoro. Tra gli esperti che hanno preso parte al dibattito: il Presidente di Forum PA Carlo Mochi Sismondi, Flavia Marzano per il Comune di Roma; Nello Iacono degli Stati Generali dell’Innovazione; Paola Santoro docente Luiss e Massimiliano Dibitonto della Link University; Antonio Cocozza di Roma Tre, esponenti dei FabLab come Leonardo Zaccone; Daniele Lunetta del Ministero del Lavoro; Marco Guspini del MIUR; Franco Patini di Confindustria Digitale; Antonella Giulia Pizzaleo della Regione Lazio; Maria Rita Fiasco di Assinform; Antonella Zuccaro di Indire.
Nell’interpretazione di Carlo Mochi Sismondi, sono cinque le parole chiave individuate dagli esperti relativamente al problema della formazione dei giovani alle competenze per l’occupabilità: empowerment delle skills, engagement del territorio e dei cittadini, endorsement della politica, enforcement delle regole, execution.
I partecipanti al Tavolo contestualizzano le competenze utili per l’occupabilità giovanile in diversi ambiti e le definiscono in vari modi: strategiche, diagonali, digitali, trasformazionali, ibride. Le competenze abilitanti per la ricerca del lavoro debbono essere in primo luogo strategiche o trasversali; debbono essere strumenti flessibili che ogni individuo può rimettere in gioco, ridefinire secondo le esigenze e le variazioni del proprio contesto, personale e professionale, di riferimento. E’ altresì opportuno sottolineare l’importanza delle competenze diagonali: competenze costruite sia grazie a ragionamenti induttivi che deduttivi; sia attraverso sistemi intuitivi, impulsivi, associativi che attraverso sistemi riflessivi, critici, selettivi. Le competenze diagonali oggi vengono richieste in tanti ambiti e in versione punto zero nella misura in cui le tecnologie utilizzate in maniera consapevole sono degli amplificatori di valore. Queste competenze vengono richieste al cuoco cosi come all’agricoltore le cui attività sono basate in larga misura sull’uso di processi e prodotti innovativi come l’e-commerce ed i prodotti ecosostenibili.
Le competenze da acquisire per i lavori del futuro sono anche trasformazionali. Queste sono strettamente legate all’internet of things quindi non solo al grande sviluppo delle nuove tecnologie ma all’estrema variabilità dei rapporti tra queste tecnologie e l’uomo. Se si producono lavatrici si può fare innovazione creandone di nuove, che consumano sempre meno e lavano sempre meglio. Ma se si inventano dei jeans che non si sporcano mai, si dà vita ad un nuovo mercato, ad una nuova catena di valore ed a nuove competenze. Le competenze che erano valide nel passato diventano obsolete e vengono spazzate via dalla trasformazione, dalla disruptive innovation, dall’ibridazione dei diversi domini di azione e di conoscenza.
Se si considerano le sfide legate all’occupabilità ed alle innovazioni che i giovani dovranno affrontare nel loro futuro, bisogna pensare ad una formazione che non insegni loro “le cose” ma il modo in cui andare a cercarle. Questo è tanto più vero se si considera il mare magnum delle informazioni e delle conoscenze che oggi sono rese disponibili dalle reti. La tecnologia non è più di competenza dei soli ingegneri ma è un’esperienza che deve appartenere a tutti. E non deve essere uno strumento abilitante nel praticare qualcosa ma uno strumento che abilita ad un nuovo stile di vita, ad un nuovo modo di affrontare il mondo del lavoro in continuo mutamento nel quale i giovani non sanno cosa dovranno fare nel futuro, sanno che dovranno continuamente mettersi in gioco ed è questo che bisogna saper trasmettere a loro.
Il mondo del lavoro oggi richiede delle competenze che sono difficilmente riconducibili ad un titolo di studio rilasciato da un’università. E’ importante che i ragazzi “sperimentino lo stupore di quello che sono in grado di fare” perché in tal modo acquisiscono quella capacità di problem solving che consentirà loro di essere risolutori di problemi. E’ importante che la formazione insegni ai ragazzi, ai giovani, a coltivare la loro intelligenza affinché questi cerchino ed imparino ad affrontare uno scenario futuro che oggi è imprevedibile. I ragazzi debbono formarsi all’interno di una prospettiva sistemica, debbono saper sviluppare l’intelligenza digitale, l’intelligenza sociale, l’empatia che consente loro di portare avanti progetti comuni, la capacità non solo di adattarsi al cambiamento ma anche di trovare soluzioni che vanno al di là, la resilienza, la creatività, la transdisciplinarietà. Tutto questo con l’obiettivo di trovare nuove risposte e di generare nuovi valori. I sistemi dell’istruzione e della formazione in stretto contatto con i sistemi delle professioni e del lavoro debbono saper rispondere alla mission di insegnare ai ragazzi a mettersi in gioco, ad avventurarsi in percorsi di costruzione e ricostruzione in un mondo imponderabile.
Per ciò che riguarda la nascita di nuovi lavori e l’evoluzione dei sistemi economici è importante che i modelli dell’innovazione, quelli legati all’industria 4.0, così come i modelli di abilitazione alle competenze digitali ed alle competenze per i lavori del futuro non vengano proposti o calati dall’alto ma nascano e si sviluppino nei territori E’ significativo osservare, al riguardo, come rilevanti esperienze legate alla nascita di start up e di laboratori di fabbricazione digitale stiano nascendo in tanti quartieri delle nostre città. Si tratta di esperienze che vengono dal basso e riescono ad influenzare, dapprima, il contesto economico per poi contaminare anche il tessuto territoriale ed i domini della cittadinanza e della vita civile. A partire da questa prospettiva anche gli enti locali debbono saper svolgere una significativa attività a sostegno della formazione, delle start up giovanili, degli incentivi alle imprese, del rafforzamento del tessuto imprenditoriale e formativo territoriale.
Paradigmatico è il caso della rete dei FabLab Roma Makers nata, nel 2013, in un quartiere storico e strategico di Roma, Garbatella, situato vicino sia alle fermate della metropolitana e della stazione ferroviaria Roma Ostiense che alla sede dell’università Roma Tre. Sin dal momento della sua creazione Roma Makers ha stipulato accordi con le scuole, con le università e con gli Enti del territorio per rendere possibile al suo interno la formazione degli studenti, i tirocini dell’alternanza scuola lavoro, la formazione universitaria alle competenze digitali ed ai processi della stampa 3D. Roma makers, che nel tempo ha aperto altri centri sul territorio, rappresenta uno spazio aperto sempre ed a tutti: agli studenti, ai giovani che decidono autonomamente di formarsi alle nuove competenze, agli artigiani che cercano nuovi strumenti per il loro lavoro. La rete delle attività di Roma makers coinvolge le scuole, le università, le imprese private per la creazione e la sperimentazione di nuovi prodotti e materiali fino a toccare la formazione e le creazioni nel campo della moda: capi di abbigliamento, i cui tratti di originalità sono frutto della prototipazione e della stampa in 3D, sono stati presentati infatti nel corso delle sfilate di Alta Moda Roma 2017.
La sfida per una società 4.0 riporta tutti ai banchi di partenza nella misura in cui società 4.0 significa industria 4.0, amministrazione 4.0, contabilità 4.0, modi di fare il bilancio 4.0, occupazione 4.0, formazione 4.0. Un prodotto innovativo chiama in causa nuove abilità, nuovi operai, nuovi tecnici che sappiano fare una nuova programmazione e che abbiano nuove competenze. Bisogna essere capaci di innovare e di creare un’innovazione virale grazie ad una formazione basata sulle comunità di pratica, sul coaching, sul mentoring, perché le competenze abilitanti come le capacità trasformazionali e diagonali, la resilienza, la tenacia, la capacità di lavorare in team non si possono spiegare in aula. Si deve necessariamente imparare dagli altri: “Si deve imparare nei laboratori, in affiancamento, si deve imparare immaginando tutte le cose che bisogna inventare o riscoprire”.