Nelle ultime settimane, causa di una serie di problemi di famiglia, il mio livello di fruizione dei servizi pubblici è drasticamente aumentato. E’ aumentato, conseguentemente, il tempo da me speso sul web a cercare informazioni sugli stessi servizi: nominativi, orari, istruzioni, moduli. Questa imprevista full immersion nel web pubblico mi ha consentito di sperimentare in prima persona pregi e difetti di una parte di quella che oggi è la nostra amministrazione digitale, per come vista dal cittadino. Alcune cose già note hanno trovato conferma. Tra queste quella che più mi ha colpito è la capillarità e la diffusione degli strumenti dell’amministrazione digitale. Non ho trovato una sola amministrazione che non abbia un proprio sito, e che nel farlo non abbia rispettato la legge, quantomeno formalmente. Delle tante piattaforme visitate non ne ricordo una che non abbia il link alla sezione trasparenza. E tutte le volte in cui mi è capitato di cliccarci sopra, immancabilmente ho trovato le informazioni sugli stipendi dei dirigenti, sui contratti stipulati, sulle consulenze, ecc. Ho sempre trovato le pagine in cui si danno informazioni servizi offerti al pubblico: a quali sportelli rivolgersi, in quali orari, con quali modalità. Molto frequentemente inoltre ho verificato la possibilità, data all’utente, di trovare e scaricare la modulistica.
Come ci si poteva aspettare, il discorso cambia un po’ se invece di considerare la trasparenza e le informazioni, andiamo a esaminare i servizi online messi a disposizione del cittadino o, più in generale, la possibilità di interagire con gli uffici via Internet. Qui l’esperienza dal vivo di questi ultimi giorni mi conferma la situazione di grande disomogeneità che da anni viene segnalata dagli analisti.
A fronte di molte amministrazioni in cui c’è stato un profondo impegno nell’innovare i servizi offerti ai cittadini e alle imprese, resta comunque alta la quota di enti pubblici per i quali la strada dell’eGovernment è davvero ancora tutta da percorrere.
Considerando nello specifico il tema dell’usabilità, ci sono tre questioni specifiche sulle quali vorrei soffermarmi. La prima riguarda il rischio che questa tematica venga percepita dalla amministrazioni pubbliche come una questione prettamente specialistica, riservata agli addetti ai lavori. Girando sul Web della PA è evidente la presenza, forse non generalizzata, ma nemmeno trascurabile, di siti pubblici che soffrono di problemi talmente macroscopici che forse parlare di usabilità, sebbene in teoria corretto, rischi forse di essere è inutile, e pure dannoso.
Che dire di un’interfaccia di prenotazione di prestazioni sanitarie dove i campi che l’utente deve compilare vengono definiti in base alla nomenclatura tecnica degli addetti ai lavori, senza note esplicative, senza funzioni di help, senza guide all’uso? Siamo di fronte a un problema di usabilità, oppure, come credo, non è meglio dire semplicemente che si tratta della banale, ma non per questo meno colpevole, trascuratezza che spesso contraddistingue il lavoro delle amministrazioni pubbliche? Certo, il fatto che spesso, dopo aver capito che informazioni inserire, il cittadino venga informato dall’applicativo che il tipo servizio richiesto non rientri tra quelli prenotabili online non aiuta la user experience. Vale però la stessa tesi di prima: siamo davvero di fronte a un problema di usabilità. O non è semplicemente sciatteria? Non è solo un problema di terminologia. Dire che i macroscopici problemi del sistema CUP di cui sopra sono problemi di usabilità significa dire che il problema, in fondo, è di tipo tecnico. E dato che di solito questi problemi vanno al di là delle competenze dei funzionari/dirigenti pubblici, perché mai questi dovrebbe farsene carico? Il punto è, invece, che usabilità o meno, è compito dei funzionari e dei dirigenti pubblici fare in modo che i servizi pubblici intercettino i bisogni dei cittadini e delle imprese, dando la possibilità a tutti di usufruirne senza barriere all’accesso o altre forme di discriminazione, se non quelle previste. E che garantire questo è compito di tutti i dipendenti pubblici, quali che siano le loro competenze.
Il secondo punto su cui vorrei soffermarmi riguarda la presenza molto, troppo, diffusa nel Web pubblico di piattaforme tanto ineccepibili sotto il profilo dell’usabilità, quanto tremendamente inefficaci dal punto di vista del cittadino. Penso ai portali di alcune grandi amministrazioni: ben fatti, in linea con gli standard, attenti alle recenti indicazioni suggerite dalle Linee Guida ministeriali. E nondimeno inutili perché pensati, e realizzati, mettendosi più dalla parte dell’Amministrazione che non da quella dell’utilizzatore finale. Qui il problema, più che di semantica del Web, riguarda la scarsa capacità dell’amministrazione del nostro Paese di comunicare con il resto della società. Vuoi per tradizione storica; vuoi perché non essere trasparenti aiuta a depotenziare eventuali controllo di terzi; vuoi perché viviamo in un sistema regolatorio così poco intellegibile da richiedere dei veri e propri specialisti, i quali – come tutti i tecnici – spesso faticano a farsi capire dal testo del mondo; sta di fatto che una delle principali difficoltà che oggi caratterizza il nostro sistema è il vero e proprio vallo comunicativo che si è creato tra PA e resto del sistema, sia che si consideri l’amministrazione tradizionale, oppure quella digitale. Non voglio dilungarmi in esempi. Tutti conosciamo le tante volte in cui, indipendentemente da come sono organizzate le piattaforme, non riusciamo a comprendere quel ciò che l’amministrazione vuole dirci. Dove per essere sicuri di ciò che ci viene comunicato da qualche agenzia statale o da qualche istituto di previdenza serve che ci rivolgiamo a un amico commercialista. Va bene dunque dare rilievo all’usabilità, ma facciamo in modo che questa non sia l’ennesima trovata gattopardesca per cambiare tutto senza cambiare niente.
Infine il tema dell’identità digitale e di SPID. Si tratta di un tema ormai cruciale. Di fronte allo squilibrio che si osserva tra l’offerta di soluzioni di e-Gov messa a disposizione dalla PA – migliorabile ma pur sempre esistente – e il grado insufficiente di utilizzo della stessa da parte dei cittadini e delle imprese, è evidente il ruolo strategico, in termini di innalzamento del grado di usabilità dell’intero ecosistema dell’eGov, che può essere giocato da una soluzione di sistema, in grado di determinare un upgrading generalizzato della facilità di accesso e dell’user experience di tutti i siti pubblici (e non solo). Dopo tanti mesi, finalmente nelle ultime settimane, per effetto delle agevolazioni previste per i diciottenni e gli insegnanti, il numero di coloro che hanno richiesto il sistema unico di identità digitale ha subito una drastica impennata portandosi in pochi giorni oltre un milione e centomila unità. Lo strumento non è dunque più solo un gadget per amanti dell’avanguardia tecnologica, ma inizia ad avere livelli importanti di diffusione. Superate le fasi di gestazione e di prima infanzia, ora esiste veramente la possibilità di fare di SPID il PIN unico per l’accesso ai servizi della PA. E’ il meccanismo ricorsivo, tipico dei percorsi con cui si affermano i sistemi a rete. Con oltre un milione di iscritti, e con un trend di adesioni in aumento, l’appetibilità dello strumento da parte delle amministrazioni che ancora non vi hanno aderito aumenta, indipendentemente dalle scadenze, più o meno tassative, previste dalla normativa. D’altro canto, aumentando il numero di amministrazioni aderenti, aumenta l’utilità intrinseca di avere un PIN unico, determinando l’incentivo ad aderirvi da parte di chi non si è ancora iscritto. Tutto questo però non accadrà per inerzia, ma solo se la politica e l’amministrazione saranno capaci di creare i presupposti di attivazione di questo meccanismo e, in particolare, se si realizzeranno almeno di due condizioni.
Serve innanzitutto incrementare velocemente il numero di servizi/amministrazioni a cui poter accedere tramite SPID. Qualcuno obietterà che ce ne sono già molte. Vero, e tra queste ce ne stanno pure alcune di importanti, con milioni di utenti. Però, ci sono ancora molti, troppi, assenti (o parzialmente assenti) anche tra le amministrazioni centrali e, soprattutto, tra la PA locale. E’ dunque necessario evitare il rischio che si esaurisca l’abbrivio, una volta finita la spinta delle nuove agevolazioni. Perché ciò avvenga serve agire sul piano della comunicazione. Ma non solo: perché un cambiamento tanto esteso sotto il profilo sistemico si realizzi serve una vera e propria azione di piano che sappia attivare un sistema integrato di interventi capaci di intercettare-coinvolgere-convincere, una per una, tutte le amministrazioni che ancora mancano. Secondariamente va data stabilità allo strumento. Negli ultimi tempi da più parti sono emersi dubbi su un sistema che, come tutte le cose nuove, necessita certamente di aggiustamenti. Mettere a punto non può però significare rifare tutto da capo. Le possibilità e gli spazi per fare un tagliando ci sono.
Quando i tempi saranno maturi, è mia opinione che qualche modifica sarà necessaria. Ma deve essere chiaro che, almeno per un certo periodo di tempo, se mai degli aggiustamenti ci saranno, essi serviranno per aumentare la funzionalità del sistema, non per rinnegare l’attuale soluzione a favore di quella che sarà l’ultima futura grande idea.
In questi ultimi anni sul fronte dell’eGov si è perso troppo tempo. Non perdiamone dell’altro!